La storia di Elsa: un’ex alcolista che ha aiutato chi vuole smettere di bere
“Sono un’ex alcolista. E ho inventato un modo per aiutare chi vuole smettere di bere”. Elsa Radelli è un’ex alcolista che ha avuto problemi con l’alcol per circa 15 anni ma solo qualche anno fa è riuscita a smettere. Si è affidata al CAD di Lambrate e alla Fondazione Eris.
Inizialmente ha avuto serie difficoltà, il suo primo pensiero al mattino e l’ultimo della sera era quando potesse bere un bicchiere di vino: “L’alcol, per me, era una necessità mentale prima che fisica. Poi certo, il fatto stesso che in Italia gli alcolici siano così economici non aiuta: in fondo, mal che vada, sai che c’è sempre un Tavernello da cinquanta centesimi da recuperare, al supermercato”.
“L’alcol, per me, era un amore: questo è l’essenza di una dipendenza… non parlo solo di alcolismo ma anche di ludopatia, tossicodipendenza, dipendenza dai social. Il mondo delle dipendenze è vasto: alcune sono più socialmente accettabili di altre ma sempre di dipendenze si tratta. Il meccanismo di base è lo stesso.”
Ogni storia di dipendenza è diversa, uscirne crea un vuoto dentro e il primo passo da compiere è chiedere aiuto. Un alcolista, spiega Elsa, non guarisce e rimane tale per il resto della sua vita ma è possibile rimanere sobri ed evitare di ricaderci. Elsa, dopo anni di lotte e sofferenze contro l’alcol, è riuscita a smettere ed ha deciso di aiutare chi ne avesse bisogno. La soluzione secondo lei è la peer education, ovvero il dialogo tra pari.
La cinquantenne organizza degli incontri che mirano al dialogo, ad abbattere i muri con un sorriso. Elsa e tanti suoi amici sono riusciti ad uscire da questa terribile dipendenza, altri man mano lo faranno.
Oggi con sorriso ammette: “Ho 54 anni e mi sento migliore di prima, in termini di autoconsapevolezza. In questo momento, anzi, ho un Ego enorme ma al tempo stesso sono cosciente dei miei limiti e so benissimo che tra un’ora potrei uscire di qui e ricominciare a bere. Ho dalla mia, però, un’arma importante: in comunità ho imparato che posso scegliere. Ho ricominciato a lavorare. Per me, oggi, anche il semplice gesto di salire le scale della metro senza il fiatone è una conquista. Forse ho un po’ troppo autocontrollo, ma pazienza: va bene così. Ho fatto pace col cervello“.